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Garante - Relazione 2017
Come già avvenuto in passato, il Garante è stato più volte chiamato a pronunciarsi in merito al trattamento di dati personali effettuato tramite sistemi di videosorveglianza in ambito pubblico. Tra i molteplici chiarimenti forniti, si segnalano quelli riguardanti le modalità di istallazione di impianti di videosorveglianza all’interno di centri abitati da parte dei comuni, in particolare in relazione agli impianti volti a contrastare l’abbandono incontrollato di rifiuti urbani attraverso i dispositivi denominati foto trappola (predisposti per rilevare delle immagini solo al verificarsi di condizioni predefinite). In proposito, è stato evidenziato che, a fronte dell’inefficacia di strumenti e sistemi di controllo alternativi, l’utilizzo di impianti di videosorveglianza risulta lecito anche per accertare l’utilizzo abusivo di aree impiegate come discariche di materiali e di sostanze pericolose nonché per monitorare il rispetto delle disposizioni concernenti modalità, tipologia ed orario di deposito dei rifiuti, la cui violazione è sanzionata amministrativamente (cfr. art. 13, l. 24 novembre 1981, n. 689 e punto 5.2, provv. 8 aprile 2010, doc. web n. 1712680). In questo ambito, un caso oggetto di segnalazione ha riguardato la presunta assenza di informativa rispetto ad un sistema di videosorveglianza collocato in un piazzale per controllare il regolare deposito dei rifiuti. Dalle informazioni acquisite, è risultato che il cartello recante l’informativa era stato collocato, in modo ben visibile anche durante le ore notturne, a qualche decina di metri dall’area interessata dal raggio di azione della telecamere e pertanto il trattamento dei dati è stato ritenuto conforme alla disciplina in materia di protezione dei dati personali. È stato in particolare evidenziato che il supporto con l’informativa non deve essere necessariamente collocato a stretto contatto con gli impianti, ma nelle sue immediate vicinanze e comunque, prima dell’area interessata dalle riprese (cfr. punto 3.1. del citato provvedimento generale). In casi come quello descritto, anche quando il sistema di videosorveglianza è impiegato per la prevenzione dei reati ambientali (riconducibile all’ambito applicativo dell’art. 53 del Codice e per ciò stesso quindi esonerato dall’obbligo di informativa), si è ritenuto di raccomandare agli enti pubblici di collocare comunque i cartelli contenenti l’informativa perché rendere palese l’utilizzo dei sistemi di videosorveglianza può, in molti casi, svolgere una ulteriore ed efficace funzione di deterrenza, oltre quelle specificamente perseguite (cfr. punto 3.1.2. del provvedimento generale) (nota 18 gennaio 2017). Specifiche istruttorie sono state avviate anche con riferimento all’impiego di sistemi di videosorveglianza in ambito scolastico. In tale ambito l’Ufficio oltre a richiamare le specifiche indicazioni già fornite dall’Autorità sull’informativa (cfr. punti 3.1. e 4.6. del citato provvedimento; artt. 13 e 161 del Codice), ha spesso ribadito la necessità di garantire “il diritto dello studente alla riservatezza” (art. 2, comma 2, d.P.R. n. 249/1998), prevedendo opportune cautele al fine di assicurarne l’armonico sviluppo della personalità, il processo di maturazione ed il diritto all’educazione. È stato inoltre evidenziato che può risultare ammissibile l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza soltanto in casi di stretta indispensabilità, al fine di tutelare l’edificio ed i beni scolastici da atti vandalici, circoscrivendo le riprese alle sole aree interessate ed attivando gli impianti negli orari di chiusura degli istituti (punto 4.3.1) nonché chiarendo che, laddove la ripresa delle immagini riguardi anche le aree perimetrali esterne degli edifici scolastici, l’angolo visuale deve essere delimitato alle sole parti interessate, escludendo dalle riprese le aree non strettamente pertinenti l’edificio (nota 27 giugno 2017). Con riguardo alla videosorveglianza presso luoghi di cura, merita una menzione la richiesta del responsabile di una residenza sanitaria per l’allungamento – sino a trenta giorni – dei tempi di conservazione delle immagini registrate presso taluni locali motivata sulla base del fatto che la rilevazione di comportamenti anomali o maltrattamenti, e la conseguente denuncia, richiedono di massima tempi più lunghi rispetto ai previsti sette giorni in ragione della peculiare condizione di fragilità dei soggetti assistiti. L’Autorità ha, in primo luogo, fornito indicazioni in ordine alla procedura da seguire per la richiesta di prolungamento dei tempi di conservazione delle immagini registrate oltre il previsto termine di sette giorni, segnalando la necessità di una verifica preliminare del Garante ed evidenziando al contempo la necessità che, nel rispetto del principio di proporzionalità, la richiesta in parola sia adeguatamente motivata sulla base di una specifica esigenza di sicurezza, riferita a concrete situazioni di rischio (punti 3.2.1. e 3.4. del cit. provv. generale dell’8 aprile 2010). Il Garante ha poi chiarito che la dichiarata finalità di contrasto alle condotte di maltrattamento nei confronti degli ospiti della struttura non è, in assenza di una specifica regolamentazione, compatibile con le finalità proprie della residenza sanitaria, essendo invece propria dei trattamenti a scopo di prevenzione e repressione dei reati di competenza delle Forze di polizia. Su tale tematica sono state richiamate le specifiche iniziative legislative portate all’attenzione del Parlamento, sulle quali l’Autorità aveva già espresso la propria posizione in occasione delle audizioni del presidente Soro, in relazione alle proposte di legge recanti norme in materia di videosorveglianza negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia nonché nelle strutture socio-assistenziali per anziani, disabili e minori in situazione di disagio, presso le Commissioni riunite I e XI della Camera dei deputati (27 luglio 2016, doc. web n. 5301830) e presso la 11ª Commissione permanente (lavoro, previdenza sociale) del Senato della Repubblica (22 novembre 2016, doc. web n. 5696272) (note 20 aprile e 10 luglio 2017). L’Autorità è stata chiamata ad esprimersi nell’ambito di una richiesta di verifica preliminare presentata da una azienda ospedaliera per il prolungamento, fino a venti giorni, della durata del periodo di conservazione delle immagini raccolte dai sistemi di videosorveglianza. Esaminate le caratteristiche del sistema, il Garante ha condiviso la manifestata esigenza di sicurezza e l’opportunità di ammettere una conservazione delle immagini registrate per un periodo superiore alla settimana al fine di tutelare gli interessi degli utenti, dei terzi e dei dipendenti, considerati gli specifici eventi verificatisi (furti, aggressioni e effrazioni, avvenuti in danno dell’azienda e del personale). Il Garante ha, in ogni caso, richiamato l’attenzione dell’azienda ospedaliera sulle prescrizioni relative alle misure di sicurezza, sulle garanzie relative al trattamento di dati personali in ambito lavorativo e presso gli ospedali (cfr. punti 3.3.1, 4.1. e 4.2. del citato provvedimento generale; artt. 31-36, del Codice e all. B al Codice; artt. 114 del Codice e 4, l. 20 maggio 1970, n. 300, recante il cd. Statuto dei lavoratori) nonché sulla necessità di aggiornare la bozza di regolamento sull’utilizzo in ambito aziendale di sistemi di videosorveglianza trasmesso all’Autorità (provv. 31 maggio 2017, n. 256, doc. web n. 6630601). Un’amministrazione comunale ha chiesto all’Autorità un parere in merito alla produzione in giudizio delle videoriprese consegnate ed effettuate da privati attraverso l’installazione di dispositivi posti all’esterno della propria abitazione al fine di sorvegliare il proprio domicilio. In sostanza il comune, non avendo la disponibilità, per ragioni economiche, di un proprio sistema di videosorveglianza, ha chiesto di poter acquisire ed allegare agli atti di indagine le videoriprese effettuate da privati per fini personali e che ritraggono autori di illeciti sorpresi nell’atto di abbandonare o incendiare rifiuti. Ciò in quanto, secondo l’orientamento della Suprema Corte (sent. n. 22093/2015) “le videoriprese eseguite da privati che importano luoghi di privata dimora liberamente visibili dall’esterno senza particolari accorgimenti” costituirebbero prova atipica ai sensi dell’art. 189 c.p.p., “pienamente utilizzabili senza l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria”. In proposito sono stati richiamati, in applicazione del provvedimento generale dell’8 aprile 2010 (doc. web n. 1712680), i limiti relativi all’utilizzo di sistemi di videosorveglianza per fini esclusivamente personali in presenza di concrete situazioni che ne giustifichino l’installazione(a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale), anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia (quarta sezione, C212/13, 11 dicembre 2014) secondo cui l’utilizzo di un sistema di videocamera, installato da una persona fisica sulla propria abitazione per proteggere i beni, la salute e la vita dei proprietari dell’abitazione, se in grado di riprendere anche lo spazio pubblico, non costituisce più un trattamento dei dati effettuato per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale e, pertanto, deve avvenire nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali. Sulla base di tali considerazioni, l’Autorità ha affermato che nella fattispecie in esame le videoriprese sono lecite se le telecamere sono orientate in modo da riprendere solo gli spazi di proprietà esclusiva dei privati e non anche lo spazio pubblico, né a fortiori gli spazi di proprietà di terzi quandanche esposti alla pubblica osservazione. In questi ultimi casi, infatti, tali dati, in quanto acquisiti illecitamente, non sarebbero utilizzabili (art. 11, comma 2, del Codice). Diverso il caso di utilizzo di impianti di videosorveglianza finalizzati alla tutela della sicurezza urbana, acquistati da soggetti privati, ma utilizzati esclusivamente e sotto la responsabilità di Forze di polizia. In un caso analogo, infatti, l’Ufficio ha ritenuto lecito l’utilizzo, da parte di un comune, di videoriprese effettuate attraverso telecamere acquistate da privati, ma gestite esclusivamente da agenti di Polizia locale, che rivestono la qualifica di agenti di pubblica sicurezza. In tale circostanza, infatti, poiché ai sensi dell’art. 6, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con l. 23 aprile 2009, n. 38, “per la tutela della sicurezza urbana, i comuni possono utilizzare sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico”, l’eventuale assunzione degli oneri finanziari per l’acquisto e la manutenzione degli impianti di videosorveglianza da parte di privati sarebbe del tutto indifferente per quanto attiene alla normativa in materia di protezione dei dati personali. Ciò a condizione che il privato acquirente sia escluso da qualsiasi utilizzo e accesso al sistema di videosorveglianza, dovendo il comune, titolare del trattamento, informare il privato in ordine al divieto assoluto di intromissione nel sistema informatico ed alle gravi conseguenze in caso di violazione del divieto (nota 17 marzo 2017).