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Big Data, utilizzo dei dati personali e concorrenza - Domanda e offerta di dati personali
In generale, al fine di disporre di un approccio analitico utile all’analisi della performance dei mercati, può essere utile considerare domanda e offerta di dati personali “direttamente” e non solo come un aspetto della concorrenza nel mercato del bene/servizio primario.
La domanda di dati personali è espressa dalle imprese, le quali hanno sempre un incentivo ad acquisirli, nella misura in cui la loro raccolta ed elaborazione ne accresce i profitti, che possono derivare da diverse fonti a seconda del modello di business adottato.
Ad esempio, maggiori profitti possono essere realizzati dalle imprese non soltanto nell’ambito della fornitura del servizio primario, nella misura in cui i dati personali possono servire a migliorare, attraverso una personalizzazione, l’attrattività del servizio rivolto ai consumatori, ma anche nell’offerta all’utente di servizi aggiuntivi a pagamento o per realizzare ricavi dalla cessione dei dati a terzi.
Sussiste dunque un incentivo ad acquisire quanti più dati possibili da parte delle imprese, in quanto, a fronte di incremento dei ricavi che possono realizzare aumentando gli utilizzi dei dati raccolti, esse hanno la possibilità di sfruttare le economie di scala e di scopo che caratterizzano la loro estrazione ed elaborazione. Da un lato, infatti, i costi derivanti dall’elaborazione dei dati, essendo per lo più riconducibili ad investimenti in infrastrutture di calcolo, sono prevalentemente di natura fissa (quantomeno all’interno di intervalli prefissati di capacità di calcolo). Dall’altro lato, l’incidenza dei costi di raccolta e di elaborazione dei dati diminuisce all’aumentare del loro utilizzo da parte delle imprese.
Inoltre, laddove la raccolta dei dati personali sostiene un modello di business configurabile come una piattaforma a due versanti, gli effetti di rete indiretti, e dunque le esternalità positive che si instaurano tra i due versanti del mercato, costituiscono altresì un ulteriore impulso all’estrazione dei dati da parte delle imprese. In particolare, tale modello di business determina sia l’incentivo ad estendere la raccolta dei dati su una platea più ampia di utenti, in quanto ciò favorisce un ampliamento della domanda sull’altro versante della piattaforma, sia l’incentivo ad intensificare l’attività di estrazione dei dati sulla propria base utenti, in quanto ciò potrebbe aumentare il valore economico del set di dati personali relativo ai singoli utenti che cede all’altro versante del mercato.
L’offerta di dati personali è per contro espressa dagli utenti, per i quali, come detto, la relazione tra fornitura dei dati e utilità non è univoca. La fornitura dei dati genera infatti dei costi in capo all’utente, che però possono essere almeno in parte controbilanciati dalla maggiore qualità o dal minor prezzo a cui il servizio primario viene offerto.
La circostanza che le preferenze degli utenti sul grado di tutela dei propri dati personali emergano nella scelta relativa alla fruizione di servizi primari comporta che condizione necessaria (ma non sufficiente) perché la concorrenza generi un livello ottimale di utilizzo di dati personali è che gli utenti, nell’esprimere la propria domanda di servizi primari tengano adeguatamente in considerazione il diverso livello di privacy che essi assicurano.
Nell’assetto attuale dei mercati digitali sono invece riscontrabili delle rilevanti asimmetrie informative tra venditori e consumatori e distorsioni comportamentali che compromettono la capacità degli utenti di scegliere i servizi tenendo conto del loro livello di tutela della privacy. Pertanto, l’assenza di consapevolezza dell’utente impedisce che la privacy possa costituire una dimensione del processo di interazione tra le imprese, suscettibile di essere disciplinata dalla concorrenza nel mercato dei servizi primari.
Sul punto, appare utile osservare che anche il campione di utenti preso in esame nell’ambito della survey condotta dall’AGCM non mostra una piena consapevolezza dell’attività di estrazione dei propri dati personali sottostante la fruizione dei servizi on line. Infatti, come sopra illustrato (§ 5.1) circa il 40% degli utenti intervistati ha mostrato di non avere consapevolezza né del fatto che la navigazione in internet e l’utilizzo di app e servizi online comporti la raccolta di dati personali né del fatto che tali dati possano essere ceduti dal fornitore del servizio a terzi.
Inoltre, si è osservato che anche le scelte di utenti consapevoli possono soffrire di distorsioni altrettanto critiche. Si tratta innanzitutto del c.d. “privacy paradox”, situazione che si caratterizza per il fatto che, seppure i consumatori esprimano un grande interesse per la tutela della privacy e la considerino un importante fattore della qualità di un servizio, gli stessi non sembrano, tuttavia, effettuare scelte di consumo coerenti con tale preferenza dichiarata. Tale situazione si riscontra ad esempio quando un utente non rinuncia a fruire di un servizio gratuito anche laddove quest’ultimo garantisce un livello di tutela della privacy molto basso e altri servizi presenti sul mercato offrono, a fronte di un prezzo positivo, una maggiore protezione dei dati personali. Si genera dunque un divario tra preferenze dichiarate e preferenze rivelate dall’utente che può determinare una tutela della privacy sub-ottimale.
L’esistenza di questo effetto sembra potersi inferire anche dai risultati della survey, ed in particolare dalle risposte alle domande 11 e 6.2. Mentre le risposte alla prima mostrano che il 93% circa degli intervistati ha interesse a tutelare la propria privacy, la seconda evidenzia che di fatto solo un terzo rifiuta il consenso all’acquisizione e all’utilizzo dei dati.
Un’altra distorsione che si rileva nelle scelte di fruizione di servizi da parte di un utente, ed è in parte collegato alla precedente, consiste nel c.d. “free effect”. Essa attiene al fatto che gli utenti tendono in buona sostanza ad attribuire un valore sproporzionato ai servizi offerti gratuitamente nonostante questi ultimi comportino un deterioramento significativo della qualità di un servizio. In altri termini, la valutazione dei servizi gratuiti da parte dell’utente tende ad essere sproporzionata rispetto al rapporto costi-benefici che essi determinano. Ciò si traduce nel fatto che l’impatto di una riduzione del prezzo sull’utilità del consumatore non è costante, in quanto cresce in corrispondenza del momento in cui un servizio passa dall’avere un prezzo positivo all’essere offerto gratuitamente.
Tale effetto presenta una serie di risvolti sul piano dell’outcome che la concorrenza può determinare sul livello di privacy. Infatti, anche un piccolo aumento di prezzo che migliora in maniera esponenziale la qualità del servizio da parte di un potenziale entrante potrebbe non essere sufficiente per quest’ultimo per consentirgli l’ingresso sul mercato. Ciò, inoltre, fa emergere come, anche nel caso in cui i servizi si differenzino sulla base del diverso livello di tutela della privacy che garantiscono, di fatto il prezzo rimane il principale driver nelle scelte di consumo dell’utente. Tendono dunque a configurarsi mercati nei quali la domanda è espressa principalmente o presso ché esclusivamente da utenti che preferiscono servizi offerti gratuitamente a fronte di una tutela della privacy molto bassa (rispetto ai costi generati dal rilascio dei dati).
In questo senso, pur non avendo verificato la sussistenza di una simile distorsione nei comportamenti, la survey ha messo in evidenza il grande apprezzamento per i servizi gratuiti tra gli utenti intervistati. Infatti, meno di un quarto di essi (circa il 23%) sarebbe disposto a rinunciare alla fruizione di servizi gratuiti e una percentuale ancora inferiore (circa il 10%) sarebbe disposta a pagare per evitare la raccolta dei dati personali.
In generale, dunque, le distorsioni che si osservano nei comportamenti dei consumatori generano delle vischiosità sul mercato che non consentono agli utenti di massimizzare l’utilità che essi estraggono dalla fruizione dei servizi, comportando il rischio che il livello di tutela della privacy generato in equilibrio sul mercato dall’interazione tra domanda e offerta non sia ottimale dal punto di vista del benessere sociale, ed in particolare dal punto di vista di quello del consumatore.
Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data