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Big Data, utilizzo dei dati personali e concorrenza - Condotte che possono integrare possibili abusi di posizione dominante
I casi della Commissione europea. La repressione degli abusi di natura escludente costituisce una priorità nell’enforcement dell’art. 102 TFUE e le recenti esperienze applicative della Commissione europea mostrano come tale norma sia idonea a contrastare diverse pratiche escludenti connesse all’utilizzo dei Big Data, volte a frapporre ostacoli ai soggetti terzi nell’acquisizione dei dati degli utenti o consistenti in pratiche discriminatorie o leganti.
La Commissione europea ha concluso ben tre procedimenti istruttori nei confronti di Google per abusi di posizione dominante aventi ad oggetto condotte escludenti nei mercati delle ricerche generiche su Internet e in quello adiacente dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca. Tali pratiche hanno permesso all’incumbentdi rafforzare la propria posizione dominante nei mercati interessati e di acquisire una mole sempre più significativa di dati degli utenti, preziosi per le sue attività di ricerca e di pubblicità on line.
In un caso recente (marzo 2019), è stata comminata a Google una sanzione pari a 1,49 miliardi di euro, per aver abusato della propria posizione dominante sul mercato dell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca, dove Google è attiva tramite la piattaforma AdSense for Search. Attraverso AdSense for SearchGoogle agisce come un intermediario pubblicitario, tra inserzionisti e proprietari di siti webche intendono trarre profitto dallo spazio attorno alle pagine dei risultati della ricerca. Dall’istruttoria condotta dalla Commissione europea è emerso che Google ha dapprima imposto ai principali siti publisherun obbligo di fornitura esclusiva, che impediva ai concorrenti di inserire annunci pubblicitari collegati alle ricerche sui siti webpiù significativi dal punto di vista commerciale, e ha poi adottato una strategia di “esclusiva non rigida”,volta a riservare gli spazi migliori per i propri annunci collegati alla ricerca e a controllare le prestazioni degli annunci dei concorrenti.
Nel luglio 2018 la Commissione europea ha inflitto a Google un’altra ammenda pari a 4,34 miliardi di euro per abuso di posizione dominante, accertando che l’operatore, consapevole del rilevante passaggio dall’utilizzo dei computer desktop a quello di Internet mobile, aveva implementato una strategia per far sì che gli utenti, anche in tale fase di transizione, continuassero ad usare Google Search sui propri dispositivi mobili. Google aveva infatti imposto ai produttori di dispositivi Android e agli operatori di reti mobili condizioni contrattuali illegittime, al fine di consolidare la propria posizione dominante nel mercato delle ricerche generiche su Internet. Tali condotte avevano consentito a che il motore di ricerca e il browserdi Google venissero preinstallati sulla quasi totalità dei dispositivi Android di Google, a scapito dei motori di ricerca concorrenti.
Infine, nel giugno 2017 la Commissione ha accertato che Google aveva abusato della propria posizione dominante nel mercato dei servizi di ricerca generica, riservando un trattamento più favorevole, in termini di posizionamento e di visualizzazione nelle sue pagine generali dei risultati di ricerca, al proprio servizio di acquisti comparativi rispetto ai servizi concorrenti. In particolare, il servizio di Google non era soggetto agli algoritmi specifici che rendevano probabile la retrocessione dei servizi di acquisti comparativi concorrenti all’interno delle pagine di ricerca generica di Google. Inoltre, il servizio di acquisti comparativi di Google veniva visualizzato con funzionalità migliorate in cima ai risultati della prima pagina di ricerca generica, o comunque tra i primi risultati, mentre tali funzionalità non erano accessibili ai concorrenti. La Commissione ha dunque comminato un’altra ammenda pari a 2,42 miliardi di euro.
Le tre importanti decisioni della Commissione europea riguardano casi che rientrano a pieno titolo nel solco delle condotte escludenti tradizionalmente contestate dalla disciplina antitrust, opportunamente interpretate alla luce delle specificità dell’economia digitale. Anche nel caso più risalente, la decisione del 2017 relativa ai servizi di ricerca generica, che vedeva l’utilizzo dell’algoritmo come principale strumento di discriminazione, l’accertamento dell’abuso si fondava soprattutto sulla portata escludente della strategia di Google.
In questa prospettiva, rileva pertanto sottolineare come, anche nei mercati data driven, sembrino riproporsi condotte restrittive riconducibili a fattispecie familiari all’enforcement antitrust, che senza dubbio dispone di strumenti sufficientemente flessibili per un’applicazione evolutiva delle norme.
Possibili strategie abusive. Al di là delle istruttorie sopra descritte che hanno portato all’accertamento di diversi abusi di posizione dominante, l’utilizzo di Big Data può potenzialmente sollevare preoccupazioni concorrenziali –la cui trattazione non può che essere di natura meramente esemplificativa –in diversi snodi dell’ecosistema.
In via preliminare si può comunque osservare come nell’economia digitale la definizione dei mercati rilevanti e l’accertamento del potere di mercato siano indubbiamente più complessi che nell’economia tradizionale. Ciò posto, impregiudicata l’utilità di una comprensione del contesto in cui le condotte oggetto di analisi si sviluppano e producono i loro effetti, una maggiore attenzione può essere prestata direttamente alla portata escludente di tali condotte, in particolare se fondate sulla centralità e non replicabilità dei dati nella disponibilità dell’impresa dominante che possono interessare contemporaneamente una varietà di mercati.
Abusi di sfruttamento. Eventuali abusi di sfruttamento possono originare dall’incontrastato potere di mercato che alcuni operatori detengono nei c.d. mercati “senza prezzo” e dalle modalità con le quali vengono raccolti i dati individuali.
Sebbene gli abusi di sfruttamento costituiscano una dimensione residuale dell’enforcement antitrust “tradizionale”, il loro rilievo nei mercati digitali appare potenzialmente più esteso. Oltre al tema connesso al rapporto tra piattaforme e utenti finali con specifico riferimento al trattamento dei dati personali e, dunque, alla possibilità di configurare possibili abusi di posizione dominante anche con riferimento a tale aspetto (cfr. supra), il potere di mercato degli operatori digitali può essere esercitato anche attraverso l’imposizione di prezzi (o altre condizioni contrattuali) eccessivamente gravosi. L’esistenza di posizioni dominanti nell’attività di intermediazione tra una pluralità di soggetti fa sì che le preoccupazioni possano riguardare uno solo dei versanti dellapiattaforma e, dunque, una sola categoria di utenti. Ad esempio, alcune recenti iniziative (legislative e di enforcement) pongono l’accento sulla relazione tra le piattaforme di intermediazione nel commercio elettronico e gli utenti non consumatori di tali piattaforme. Si tratta, dunque, di fattispecie il cui trattamento richiede una chiara definizione degli obiettivi che l’enforcementpersegue, soprattutto in considerazione del fatto che tali iniziative possono comportare lanecessità di un bilanciamento tra il benessere degli utenti dei diversi versanti della piattaforma, ovvero più direttamente tra i soggetti imprenditoriali che si avvalgono delle piattaforme e i consumatori finali.
Dati e rifiuto a contrarre. L’articolo 102 TFUE trova applicazione nei casi in cui il detentore di un’essential facility opponga un rifiuto a contrarre a un’impresa con la quale compete in un mercato a valle. Anche nel caso in cui l’essential facility sia costituita da dati, un eventuale rifiuto a concedere a terzi l’accesso a tali dati ha una rilevanza antitrust se e nella misura in cui è idoneo a ridurre la concorrenza in un mercato complementare/a valle. Pertanto, ai fini dell’applicazione dell’art. 102 TFUE, assume particolare peso la finalità alla base di una richiesta di accesso ai dati detenuti da un’impresa dominante. Le richieste di accesso ai dati potenzialmente più rilevanti in una prospettiva concorrenziale sono quelle relative ai dati: i) necessari per offrire un bene/servizio al consumatore nel mercato in cui i dati sono acquisiti, in concorrenza con l’operatore (dominante); ovvero; ii) necessari per competere in un mercato contiguo; o iii) in un aftermarketin cui è attivo l’operatore in posizione dominante.
Ai fini dell’analisi dell’indispensabilità tipica della dottrina antitrust dell’essential facility nel settore dei Big Data, almeno tre aspetti specifici appaiono potenzialmente rilevanti:
− la natura personale o meno dei dati oggetto della richiesta di accesso;
− se i dati in questione siano stati: i) volontariamente forniti dal soggetto a cui si riferiscono; ii) rilevati dall’operatore dominante; iii) ricavati tramite attività di analisi dei dati svolte dall’operatore in questione (analytics);
− il grado di aggregazione dei dati oggetto della richiesta di accesso potendo distinguere, dunque, tra dati a livello individuale, aggregati o bundled.
In ogni caso, la specificità, la quantità e la qualità dei dati possono configurare un ostacolo alla concorrenza e favorire una condotta abusiva, nella forma di un rifiuto a contrarre, solo laddove tali dati integrino i requisiti stringenti di una essential facility per la fornitura di un particolare servizio.
Solo in circostanze eccezionali, dunque, i Big Data raccolti da un’impresa possono costituire una risorsa “essenziale” per operare in un mercato ed essere soggetti ad un obbligo a contrarre ai sensi della normativa a tutela della concorrenza. La nozione legale di essential facility va oltre il mero riconoscimento della rilevanza dei Big Data nel processo competitivo. Infatti, anche quando una risorsa è un’importante fonte di vantaggio competitivo e costituisce una barriera all’entrata, la normativa antitrust non impone necessariamente alle imprese di condividere tale risorsa con i propri concorrenti. Come è noto, un rifiuto a contrarre costituisce una violazione della normativa antitrust se ricorrono le seguenti condizioni cumulative: i) il rifiuto si riferisce ad un prodotto o ad un servizio obiettivamente necessario per poter competere in maniera effettiva su un mercato a valle, ii) è probabile che il rifiuto determini l'eliminazione di una concorrenza effettiva sul mercato a valle, e iii) è probabile che il rifiuto determini un danno per i consumatori. Quando il rifiuto a contrarre concerne l’esercizio di diritti di proprietà intellettuale, la giurisprudenza euro-unitaria ha aggiunto la condizione ulteriore che il rifiuto si debba riferire all’offerta di un prodotto o servizio nuovo per ilquale sussiste una potenziale domanda.
La particolare cautela che la giurisprudenza impone nell’esame delle condotte di rifiuto a contrarre è giustificata dall’esigenza di tutelare tanto la concorrenza nella fornitura dei servizi realizzati tramite l’utilizzo dei Big Data, quanto la concorrenza nelle attività di raccolta e analisi dei dati, che possono portare benefici ai consumatori nella forma di servizi innovativi, spesso a prezzi monetari nulli.
Se, da un lato, la disponibilità di dati costituisce un asset sempre più necessario per operare in una varietà di mercati, dall’altro lato, dati utili alla fornitura di un particolare servizio digitale possono essere raccolti da una varietà di fonti, a costi non necessariamente elevati (anche perché non vi è rivalità nel consumo dei dati, considerato che gli utenti possono condividere i medesimi propri dati con più imprese). Inoltre, viene spesso rilevato come non è tanto la raccolta dei dati in sé, quanto la capacità di estrarre informazioni utili da grandi volumi e varietà dei dati a rappresentare la vera risorsa scarsa alla base di rilevanti posizioni dominanti.
Occorre, peraltro, considerare anche la relazione tra un eventuale obbligo a fornire dati e il RGPD, almeno sotto due aspetti:
− in primo luogo, occorre tenere in considerazione il diritto alla portabilità dei dati personali previsto dal RGPD, posto che tale portabilità può potenzialmente consentire a un’impresa di acquisire i dati di interesse direttamente dai soggetti a cui si riferiscono senza che sia necessaria la fornitura dell’accesso ai dati da parte dell’impresa in posizione dominante. D’altro canto, come è noto, il RGPD non prevede un diritto alla portabilità di qualsiasi tipo di dati personali né un diritto alla portabilità continua e potenzialmente in tempo reale dei propri dati;
− in secondo luogo, occorre considerare la possibile tensione che può venirsi a determinare tra l’accesso ai dati e il diritto alla protezione dei dati e alla privacy dei soggetti ai quali i dati si riferiscono. Tale tensione può esserepotenzialmente risolta attraverso tecniche di anonimizzazione dei dati o ai sensi di quanto previsto dall’art. 6 del RGPD.
In ogni caso, anche in assenza della configurazione di una essential facilityai sensi della disciplina a tutela della concorrenza, eventuali necessità di accedere e condividere determinate categorie di dati possono essere legittime per finalità diverse da quelle antitrust, ad esempio per garantire la salute pubblica. Si tratta di ipotesi che dovrebbero essere limitate ai casi in cui ciò sia strettamente necessario e proporzionato rispetto a rilevanti interessi pubblici primari, per le quali lo strumento più appropriato può essere quello della regolazione. Ad esempio, regolazioni settoriali che consentano allo Stato di accedere a banche dati raccolte da imprese private e utili per ragioni di salute pubblica, ambientali, sicurezza, mobilità, sembrano lo strumento più appropriato per garantire obiettivi di interesse pubblico ed evitare inutili e costose duplicazioni di dati già disponibili.
Condotte escludenti. Più in generale, le attività di analisi ed elaborazione dei dati (analytics, cloud computing, data storage) possono favorire l’attuazione di condotte escludenti potenzialmente più diffuse. La capacità e gli incentivi delle imprese di porre in essere condotte restrittive è peraltro influenzata dall’elevato grado di integrazione verticale e conglomerale che caratterizza l’ecosistema digitale. Ad esempio, possono essere individuate due situazioni particolarmente delicate. La prima è quella in cui un operatore dominante fornisce alle imprese (e/o ai consumatori) una pluralità di servizi complementari, potendo ad esempio attuare pratiche leganti idonee a proteggere o estendere la propria posizione dominante. La seconda è quella tipica dell’integrazione verticale, in cui l’operatore dominante fornisce un servizio all’impresa terza con la quale compete in un diverso livello della filiera, situazione che potrebbe favorire l’emergere di condotte discriminatorie di natura escludente.
Leverage della posizione dominante. Possibili abusi di posizione dominante possono avere luogo quando un’impresa in posizione dominante utilizza i dati raccolti in un mercato per estendere indebitamente il proprio potere di mercato attraverso condotte anti-competitive, quali vendite abbinate. Si tratta di un’ipotesi che impone un’attenta analisi ai fini di distinguere quelle condotte che possono in realtà avere un effetto pro-competitivo da quelle effettivamente idonee ad avere un effetto escludente pregiudizievole per la concorrenza e i consumatori.
Condotte discriminatorie. Alla luce del potere di mercato che le maggiori piattaforme online detengono in attività di intermediazione di grande rilievo economico (e sociale), possono assumere una particolare valenza anche le possibili condotte escludenti poste in essere in mercati data-driven con un connotato discriminatorio. Alcune condotte di natura discriminatoria potenzialmente anti-concorrenziale alle quali appare opportuno prestare particolare attenzione sono quelle poste in essere da un operatore in posizione dominante che svolga un’attività di intermediazione e al tempo stesso sia attivo come “utente” in (almeno) uno dei versanti della piattaforma in questione. Negli ecosistemi digitali i rapporti che legano gli operatori che detengono le piattaforme e gli operatori che utilizzano, o sono comunque soggetti all’attività di intermediazione svolta da tali piattaforme, sono particolarmente complessi. Tuttavia, per certi versi, i rischi che emergono sono analoghi a quelli che possono emergere in filiere di mercato “tradizionali” in cui un operatore in posizione dominante che eroga un servizio “essenziale” per l’attività a valle è verticalmente integrato.
Reducing rivals’ data. Nei mercati in cui la disponibilità di Big Data costituisce un’importante fonte di vantaggio competitivo, condotte che hanno un effetto di preclusione anticoncorrenziale possono essere realizzate tramite strategie che potrebbero essere definite come “reducing rivals’ data”. Ad esempio, condotte abusive di natura escludente possono essere poste in essere da un operatore in posizione dominante che impedisce ai propri concorrenti di accedere ai dati a causa di vincoli contrattuali imposti per l’utilizzo di determinati servizi, degli accordi di esclusiva stipulati con soggetti terzi o attraverso la creazione di ostacoli per l’utilizzo da parte dei consumatori dei servizi offerti da operatori concorrenti che consentirebbero a questi ultimi di acquisiredati rilevanti ad operaresul mercato. Si tratta di condotte il cui apprezzamento può richiedere un’analisi complessa, in cui l’esercizio della posizione dominante in un mercato può spesso avere effetti pregiudizievoli sulla concorrenza in altri mercati contigui.
Fonte: Rapporto 2020 AGCOM, AGCM E GARANTE sui Big Data