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Intervista a Giuseppe Busia, Segretario generale dell'Autorità Garante per la protezione dei dati personali sui controlli anti-contagio.
"Sì alla tecnologia per monitorare l’espansione del contagio ma con norme trasparenti"
Interris.it ha affrontato più volte, documentando le strategie anti-coronavirus in altre nazioni fortemente colpite dalla pandemia, il tema dell’uso della tecnologia per contrastare l’epidemia. "Dati pure molto delicati, quali quelli sul contagio, possono essere trattati anche senza il consenso degli interessati quando questo è necessario per motivi di interesse pubblico, come nel caso di gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero", afferma a Interris.it il giurista Giuseppe Busia, docente di prestigiose università in Italia e all’estero, lavora all’Autorità Garante per la Protezione dei dati personali fin dalla sua istituzione e otto anni fa ne è diventato il Segretario generale. Dal 2008 al 2012 è stato Segretario generale dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Dal 2006 al 2008 è stato direttore della Conferenza Stato–Regioni e Segretario della Conferenza Unificata Stato, Regioni e Autonomie locali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Dal 1998 al 2005 ha fatto parte dell’Autorità di Controllo Comune istituita dalla Convenzione Europol ed è stato vicepresidente del Comitato di Appello e dell’Autorità di Controllo Comune sull’uso dell’informatica nel settore doganale.
Professor Busia, in Corea del Sud, Giappone e Cina utilizzano massicciamente la tecnologia per arginare la diffusione della pandemia. Riconoscimento facciale e telefonini tracciati potrebbero confliggere nel nostro Paese con la tutela della privacy?
"Abbiamo la fortuna di vivere in un ordinamento democratico e per questo non sarebbero possibili alcune forme di controllo generalizzato e pervasivo che abbiamo visto adottare in Cina. Tuttavia, la normativa sulla protezione dei dati personali contiene già in sé gli strumenti per affrontare le emergenze come quelle che stiamo vivendo".
Può farci un esempio?
"In particolare, dati pure molto delicati, quali quelli sul contagio, possono essere trattati anche senza il consenso degli interessati quando questo è necessario per motivi di interesse pubblico, come nel caso di gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero. È però necessario che questo avvenga sulla base di una normativa trasparente, che preveda misure appropriate e specifiche per tutela i diritti e le libertà delle persone".
Il diritto alla privacy è un dititto assoluo o prevale la tutela della salute pubblica?
"Il diritto alla protezione dei dati personali è saldamente assicurato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma anche esso deve essere necessariamente bilanciato, in particolare con il diritto alla salute. Come accade per le altre libertà, occorre però che tali limitazioni siano proporzionate e circoscritte nel tempo attraverso una espressa previsione normativa. Inoltre, i dati devono essere trattati esclusivamente per le finalità di tutela della salute collettiva, senza che alcuno possa poi servirsene per fini diversi".
Come si sta muovendo in questa situazione di emergenza l’Autorità Garante per la Protezione dei dati personale?
"Abbiamo visto quali sono i rischi. Quindi è auspicabile in particolare che i trattamenti siano effettuati sotto il controllo di un’autorità pubblica ed in modo trasparente. Fin dall’inizio dell’emergenza, il Garante sta proficuamente collaborando con la Protezione civile e con le altre autorità per dare risposte rapide alle esigenze che via via si manifestano, anche se questo avviene comprensibilmente in modo tumultuoso".
Identificare i casi di contagio si può configurare come una superiore esigenza di bene comune?
"Talune iniziative estemporanee di diffusione dei dati dei contagiati, oltre ad accrescere ulteriormente la sofferenza delle persone malate ed a violare i loro diritti, non hanno quasi mai utilità dal punto di vista del diffondersi del virus, alimentando anzi il panico ed atteggiamenti irrazionali. Le autorità sanitarie hanno invece ovviamente la possibilità di identificare i casi di contagio e possono comunicare fra loro tali informazioni quando questo serve a tutelare non solo i singoli interessati, ma anche le persone che hanno avuto contatti con loro".
Come si procede?
"Sono le stesse autorità, appena rilevano un caso di contagio, a ricostruire i suoi percorsi e ad attivarsi per avvisare le persone con le quali il soggetto risultato positivo ai test ha presumibilmente avuto contatti, affinché queste adottino le cautele più opportune. Mai come ora, occorre che ognuno si attenga alle indicazioni delle autorità competenti, evitando soluzioni improvvisate e non coordinate: è questo il modo migliore di tutelare la salute propria e altrui".
Fonte: "Sì alla tecnologia per monitorare l’espansione del contagio ma con norme trasparenti" - Intervista a Giuseppe Busia