Corte di Cassazione, sentenza n. 52404/2018
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto
1. Con l'impugnata sentenza, la Corte d'appello di Catania confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Catania, appellata dall'imputato e dal Procuratore della Repubblica, la quale aveva condannato XXX alla pena di giustizia in relazione al reato di cui all'art. 167 d.lgs. n. 196 del 2003, perché, nella sua qualità di assessore alle politiche sociali del Comune di Catania al fine di trarne profitto, illecitamente acquisiva e utilizzava per proprio esclusivo interesse personale i dati relativi all'elenco delle famiglie affidatarie di minori su provvedimento del Tribunale per i minorenni e a mandati di pagamenti dei contributi erogati a favore delle stesse. In Catania, in data anteriore e prossima al 13 febbraio 2008. L'imputato veniva peraltro assolto dal delitto di cui appropriazione indebita continuata per insussistenza del fatto.
2. Avverso l'indicata sentenza l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a un solo motivo, con cui deduce violazione degli artt. 167 d.lgs. n. 196 del 2003 e 157 cod. pen. Assume il ricorrente che i giudici di merito non avrebbero accertato il dolo richiesto dal delitto di illecito trattamento dei dati personali, e, in particolare, la volontà di causare un "nocumento", che, secondo il ricorrente, integrerebbe un elemento costituto del fatto. Sotto altro profilo, si rileva che il reato si sarebbe prescritto prima della deliberazione della sentenza impugnata.
3. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo.
4. Il primo motivo è manifestamente infondato. Invero, con l'atto di appello la questione relativa alla sussistenza del dolo non era stata devoluta alla Corte d'appello, essendo stata unicamente dedotta, come motivo di impugnazione, l'insussistenza del "nocumento", correttamente ritenuto dalla Corte territoriale nel pregiudizio morale subito dalle famiglie affidatarie, i cui dati personali - in un ambito così delicato come, appunto, quello dell'affido dei minori - erano stati indebitamente trattati dall'imputato per ragioni elettorali.
5. E', invece, fondato il secondo motivo. Deve rilevarsi che è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l'intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015 - dep. 25/03/2016, XXX, Rv. 266819). Nel caso di specie, il delitto è stato commesso in data 13 febbraio 2008; pertanto, il termine massimo di prescrizione, pari a sette anni e sei mesi, a cui devono essere sommati, quale periodo di sospensione, altri sei mesi e quattordici giorni (dal 11 gennaio 2010 al 5 marzo 2010, pari a due mesi e quattro giorni, e dal 12 luglio 2010 al 22 novembre 2010, pari a quattro mesi e dieci giorni), è spirato il 27 febbraio 2016, quindi prima della deliberazione della sentenza emessa dalla Corte d'appello. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.