Parere su una istanza di accesso civico - 23 maggio 2019
Registro dei provvedimenti
n. 115 del 23 maggio 2019
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IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
Nella riunione odierna, in presenza del dott. Antonello Soro, presidente, della dott.ssa Augusta Iannini, vicepresidente, della prof.ssa Licia Califano e della dott.ssa Giovanna Bianchi Clerici, componenti e del dott. Giuseppe Busia, segretario generale;
VISTO il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE, “Regolamento generale sulla protezione dei dati” (di seguito RGPD);
Visto l’art. 154, comma 1, lett. g), del Codice in materia di protezione dei dati personali - d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (di seguito “Codice”);
Visto l’art. 5, comma 7, del d. lgs. n. 33 del 14 marzo 2013 recante «Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni»;
Vista la Determinazione n. 1309 del 28/12/2016 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione-ANAC, adottata d’intesa con il Garante, intitolata «Linee guida recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico di cui all’art. 5 co. 2 del d.lgs. 33/2013», in G.U. Serie Generale n. 7 del 10/1/2017 e in http://www.anticorruzione.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/AttiDellAutorita/_Atto?ca=6666 (di seguito “Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico”);
Visto il provvedimento del Garante n. 521 del 15/12/2016, contenente la citata «Intesa sullo schema delle Linee guida ANAC recanti indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico», in www.gpdp.it, doc. web n. 5860807;
Vista la documentazione in atti;
Viste le osservazioni formulate dal segretario generale ai sensi dell’art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000;
Relatore la dott.ssa Augusta Iannini;
PREMESSO
Con la nota in atti il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza del Ministero della Giustizia ha chiesto al Garante il parere previsto dall’art. 5, comma 7, del d. lgs. n. 33 del 14 marzo 2013, nell’ambito del procedimento relativo a una richiesta di riesame sul provvedimento di diniego di un’istanza di accesso civico.
Nello specifico, il predetto accesso civico aveva a oggetto atti e documenti prodotti da un Consorzio, contenenti anche dati personali, per la partecipazione a una procedura di gara per l’affidamento di un contratto pubblico identificata in atti e precisamente:
- «domanda di partecipazione»;
- «descrizione circa il possesso dei requisiti prescritti nel bando di gara»;
- «documento richiesto in fase di offerta tecnica attestante il numero minimo di risorse umane distinte equivalenti a tempo pieno messe a disposizione per ciascun servizio per tutta la durata contrattuale»;
- «lista del personale utilizzato nei vari servizi»;
- «curriculum vitae del personale utilizzato nei vari servizi»;
- «documentazione comprovante il possesso dei titoli, competenze ed esperienze previste per le varie figure professionali»;
- «documentazione richiesta per il personale addetto al servizio [identificato in atti]»;
- «Ogni altro atto e/o documento prodotto in fase di partecipazione e di offerta tecnica atto a dimostrare l’idoneità organizzativa tecnica e professionale degli aggiudicatari e del personale impiegato».
Nell’istanza di accesso civico allegata alla richiesta di parere al Garante emerge, fra l’altro, che le ragioni a essa sottostanti riguardano interessi strettamente personali, considerando che il soggetto istante specifica di essere «titolare di un interesse legittimo avente rilevanza pubblica», di cui è fornita descrizione.
Dagli atti risulta che il Ministero ha negato l’accesso civico, evidenziando il coinvolgimento di «una mole consistente di soggetti terzi, aventi immediato e diretto riflesso sull’identità, il domicilio, i recapiti (residenziali e telefonici), sullo stato familiare, attitudini e capacità culturali, professionali e lavorative. L’ostensione dei curricula vitae del personale addetto ai servizi oggetto di gara non può che comportare, pertanto, una immediata e diretta compressione del diritto alla riservatezza dei dati personali, posto che, nella documentazione di cui si chiede l’accesso, sono presenti informazioni sensibili». L’amministrazione ha, inoltre, eccepito il carattere massivo della richiesta di accesso – anche considerando che gli «atti e documenti di cui si chiede l’ostensione sono relativi ai soggetti impiegati nell’espletamento dei servizi in appalto che superano le 1.700 unità» – idoneo a «”paralizzare” per un periodo di tempo significativo l’intero Ufficio con compromissione dei servizi istituzionali».
Nella richiesta di riesame è lamentato, fra l’altro, un difetto di motivazione e la circostanza che l’amministrazione si sia espressa solo sull’accesso ai curricula, mentre la domanda aveva un oggetto più ampio (lista del personale, possesso dei titoli, competenza ed esperienze previste ecc.), e che in ogni caso l’intero curriculum non contiene dati sensibili e, inoltre, i dati particolari ivi contenuti – come ad esempio numeri di telefono e indirizzi – possono essere oscurati.
È inoltre evidenziato che varrebbe «il principio per cui tali documenti una volta acquisiti alla procedura di selezione, escono dalla sfera personale dei partecipanti, i quali non possono lamentare alcun danno se l’Amministrazione li mostra a terzi proprio perché servirono a ottenerne un beneficio sulla regolarità del cui conseguimento si discute. È vale soprattutto il principio che, nell’ambito dei procedimenti amministrativi legati all’assegnazione di posti di pubblico impiego a seguito di bandi, concorsi o qualsiasi altra procedura di selezione, non sussiste alcun esigenza di riservatezza dei singoli candidati; tali procedure, infatti, risultano caratterizzate da una competizione e da un giudizio di relazione fra tutti i concorrenti i quali, partecipando alla selezione, hanno implicitamente acconsentito a misurarsi in una competizione ove è prevista la comparazione dei valori. In tal senso, tra le altre: TAR Lazio n. 11450/2016; TAR Lazio n. 8772/2012; TAR Basilicata n. 260/2012; TAR Lazio n. 32103/2010».
Nella richiesta di riesame è nuovamente ribadito il possesso di un interesse qualificato, precisato nella domanda di accesso, richiamando il diritto di accesso ai documenti amministrativi, che consente l’ostensione a coloro che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
Nella richiesta di parere al Garante il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza ha chiesto di esprimersi sulla seguente questione: «se nell’ambito di una procedura di gara, l’accesso ai dati che riguardano esperienze pregresse, le competenze professionali, i titoli di studio e professionali degli aggiudicatari e del personale impiegato, rivelando informazioni sulle attitudini e capacità culturali, professionali e lavorative, sia pregiudizievole al diritto alla riservatezza. Il predetto responsabile ha precisato che «Tale parere è reputato necessario per valutare la fondatezza della richiesta degli interessati di avere accesso a. ai curricula vitae dalle unità di personale utilizzate nei vari servizi; b. alla documentazione comprovante il possesso dei titoli, competenze ed esperienze previste per le varie figure professionali; c. alla documentazione richiesta per il personale addetto al servizio [identificato in atti]». Ciò «In ragione della idoneità di tali informazioni a permettere la valutazione da parte degli interessati delle condizioni di accesso alla procedura di gara e della correttezza delle successive fasi prodromiche all’aggiudicazione, ove non sussistessero concrete ragioni di pregiudizio l’ostensione darebbe infatti concretezza ai principi di trasparenza e controllabilità delle decisioni amministrative e, in definitiva, al principio di buon andamento della pubblica amministrazione».
OSSERVA
1. Sulla accesso civico agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici
Dagli atti risulta che la documentazione oggetto dell’accesso civico si riferisce agli atti di una gara di appalto bandita nel 2013.
Al riguardo, occorre evidenziare che, per gli specifici atti di cui è richiesta l’ostensione, la normativa statale di settore prevede che «il diritto di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici, ivi comprese le candidature e le offerte, è disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241» (art. 53, comma 1, del d. lgs. 18/04/2016, n. 50 «Codice dei contratti pubblici». Dello stesso tenore anche il previgente art. 13 del d.lgs. 12/04/2006, n. 163 «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE»).
Pertanto, la fattispecie sottoposta all’attenzione del Garante – come rilevato dalla più recente giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, 14/01/2019, n. 425; TAR Lombardia, Milano, sez. I, n. 630; TAR Marche, Ancona, sez. I, 18/10/2018, n. 677; TAR Emilia Romagna, Parma, sez. I, 18/07/2018, n. 197; TAR Puglia, Lecce, sez. II, 12/04/2019, n. 599; cfr. anche TAR, Toscana, sez. III, 17/04/2019 N. 577) – ricade in una delle ipotesi di “esclusione” dell’accesso civico generalizzato, considerando che «Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei […] casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990» (art. 5-bis, comma 3, del d. lgs. n. 33/2013).
La ricordata giurisprudenza precisa, infatti, che «l’accesso agli atti concernenti la procedura di affidamento e la fase di esecuzione dei contratti pubblici è oggetto di una disciplina ad hoc, costituita dalle apposite disposizioni contenute nel Codice dei contratti pubblici e, ove non derogate, da quelle in tema di accesso ordinario recate dalla legge n. 241 del 1990. In tale ambito non trova perciò applicazione l’istituto dell’accesso civico generalizzato, stante la clausola di esclusione contenuta nel richiamato articolo 5-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 33 del 2013» (sent. TAR Lazio n. 425/2019, cit.). Inoltre, «l’esclusione dell’applicazione dell’accesso generalizzato manifesta una propria e ben precisa ratio, tenuto conto della circostanza che la disciplina dell’affidamento e dell’esecuzione dei contratti pubblici costituisce un “complesso normativo chiuso, in quanto espressione di precise direttive europee volte alla massima tutela del principio di concorrenza e trasparenza negli affidamenti pubblici, che dunque attrae a sé anche la regolamentazione dell’accesso agli atti connessi alle specifiche procedure espletate”. La scelta del legislatore è, perciò, giustificata dalla considerazione che “si tratta pur sempre di documentazione che, da un lato, subisce un forte e penetrante controllo pubblicistico da parte di soggetti istituzionalmente preposti alla specifica vigilanza di settore (ANAC), e, dall’altro, coinvolge interessi privati di natura economica e imprenditoriale di per sé sensibili (e quindi astrattamente riconducibili alla causa di esclusione di cui al comma 2, lett. c), dell’art. 5-bis del d.lgs. n. 33 del 2013), specie quando tali interessi, dopo l’aggiudicazione, vanno a porsi su di un piano pari ordinato – assumendo la connotazione di veri e propri diritti soggettivi - rispetto a quelli della stazione committente” (così ancora TAR Parma, n. 197 del 2018, cit.)» (Ibidem).
La sussistenza della predetta clausola di esclusione dall’accesso civico generalizzato, che si ritiene applicabile al caso in esame, dovrebbe far considerare assorbita ogni analisi circa la possibile sussistenza anche del limite di cui all’art. 5-bis, comma 2, lett. a) del d. lgs. n. 33/2013.
Tuttavia, questa Autorità non ignora che, in ogni caso, sussistono alcuni orientamenti giurisprudenziali che si sono discostati dalla predetta interpretazione (TAR. Lombardia, Milano, sez. IV, 11/01/2019, n. 45; TAR, Toscana, sez. I, 25/03/2019 n. 422) e hanno ritenuto applicabile l’istituto dell’accesso civico anche agli atti relativi a procedura di gara per l’affidamento di contratti pubblici, con la conseguenza che si ritiene opportuno – anche a seguito di un confronto per le vie brevi con il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza del Ministero della Giustizia – evidenziare quanto segue in relazione alla valutazione sul pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali connessa all’ostensione dei documenti richiesti (artt. 5, comma 2; 5-bis, comma 2, lett. a), del d. lgs. n. 33/2013; cfr., anche, a tal proposito, il par. 8.1. delle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico).
2. Sulla valutazione in ordine all’esistenza in un pregiudizio concreto all’interesse alla protezione dei dati personali
Per i profili di competenza di questa Autorità limitati alla protezione dei dati personali, si evidenzia che dagli atti dell’istruttoria è emerso che la richiesta di accesso civico riguarda dati, informazioni e documenti contenenti un gran numero di dati personali riferiti a più di 1700 unità, di specie differente, riguardanti, in particolare, la lista del personale utilizzato nei vari servizi, il curriculum vitae del personale, la documentazione comprovante il possesso dei titoli, competenze ed esperienze previste per le varie figure professionali, la documentazione richiesta per il personale addetto allo specifico servizio identificato in atti e, in ogni caso «Ogni altro atto e/o documento prodotto in fase di partecipazione e di offerta tecnica atto a dimostrare l’idoneità organizzativa tecnica e professionale degli aggiudicatari e del personale impiegato».
Quanto alla valutazione, nel caso in esame, circa l’esistenza di un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati, derivante dal riconoscimento di un accesso civico generalizzato ai propri dati e informazioni, si ricorda ancora una volta che deve essere tenuta in considerazione la circostanza per la quale – a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai sensi della l. n. 241 del 7/8/1990 – i dati e i documenti che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico divengono «pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7», sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 33/2013).
Di conseguenza, è anche alla luce di tale amplificato regime di pubblicità dell’accesso civico che va verificata l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati, in base al quale decidere se rifiutare o meno l’accesso civico alle informazioni e ai documenti richiesti.
La decisione sulla eventuale ostensione di dati personali nell’ambito del procedimento di accesso civico, deve inoltre tener conto anche nel rispetto dei principi indicati dall’art. 5 del Regolamento (UE) 2016/679 (RGPD), fra cui quello di «minimizzazione dei dati», secondo il quale i dati personali devono essere adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati (art. 5, par. 1, lett. c), in modo che non si realizzi un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà delle persone cui si riferiscono tali dati (cfr. anche art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della giurisprudenza europea in materia).
In tale contesto, pertanto, non si concorda con le affermazioni – prive di qualunque fondamento giuridico – contenute nella richiesta di riesame del soggetto istante laddove si rappresenta che i documenti richiesti «una volta acquisiti alla procedura di selezione, escono dalla sfera personale dei partecipanti, i quali non possono lamentare alcun danno se l’Amministrazione li mostra a terzi proprio perché servirono a ottenerne un beneficio sulla regolarità dei cui conseguimento si discute», e che «nell’ambito dei procedimenti amministrativi legati all’assegnazione di posti di pubblico impiego a seguito di bandi, concorsi o qualsiasi altra procedura di selezione, non sussiste alcun esigenza di riservatezza dei singoli candidati; tali procedure, infatti, risultano caratterizzate da una competizione e da un giudizio di relazione fra tutti i concorrenti i quali, partecipando alla selezione, hanno implicitamente acconsentito a misurarsi in una competizione ove è prevista la comparazione dei valori». Al riguardo, inoltre, la giurisprudenza amministrativa citata (TAR Lazio n. 11450/2016; TAR Lazio n. 8772/2012; TAR Basilicata n. 260/2012; TAR Lazio n. 32103/2010) non supporta affatto le predette asserzioni, in quanto ha a oggetto fattispecie diverse da quella di accesso civico in esame, che riguardano in ogni caso domande di accesso a documenti amministrativi presentate ai sensi della diversa legge n. 241/1990 (artt. 22 ss.) concesse a soggetti titolari di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» per i quali la tipologia di valutazione che la p.a. è tenuta a effettuare è molto diversa quella in materia di accesso civico ai sensi del d. lgs. n. 33/2013.
Nel caso sottoposto all’attenzione del Garante, invece, si evidenzia che i documenti richiesti con l’accesso civico sono di tipologia diversa ma tutti afferenti alla rivelazione di informazioni su attitudini, capacità culturali, professionali e lavorative dei soggetti controinteressati: dal curriculum vitae – che contiene dati personali (come nominativo, data e luogo di nascita, residenza, telefono, fax, e-mail, nazionalità) e altre informazioni di carattere personale (come esperienze e competenze professionali, istruzione e formazione, competenze personali, competenze comunicative, competenze organizzative e gestionali, pubblicazioni, presentazioni, progetti, conferenze, seminari, riconoscimenti e premi, appartenenza a gruppi/associazioni, referenze, menzioni, corsi, certificazioni, ecc.) – alla lista del personale utilizzato nei vari servizi, nonché alla documentazione comprovante il possesso dei titoli, alle competenze ed esperienze previste per le varie figure professionali, alla documentazione richiesta per il personale addetto allo specifico servizio identificato in atti e ai documenti che dimostrino l’idoneità organizzativa tecnica e professionale del personale impiegato.
Si tratta di dati e informazioni, attinenti ad aspetti dettagliati della vita lavorativa che, in caso di accoglimento dell’istanza di accesso civico, diverrebbero pubblici e tendenzialmente riutilizzabili (cfr. art. 3, comma 1, del d. lgs. n. 33/2013); ma che, invece, per motivi individuali non sempre si desidera portare a conoscenza di soggetti estranei e consentire peraltro che vengano riutilizzati per altre finalità non conosciute né conoscibili al momento della loro acquisizione da parte del richiedente l’accesso. La relativa ostensione, inoltre, considerando anche la quantità e qualità dei dati personali coinvolti, può avere – in relazione ai casi e al contesto in cui possono essere utilizzate da parte di terzi estranei che non è dato conoscere a priori – possibili ripercussioni negative sul piano relazionale, personale, sociale dei soggetti controinteressati, sia all’interno che all’esterno dell’ambiente lavorativo (si pensi, ad esempio, a eventuali prospettive di impiego a cui gli interessati potrebbero aspirare in futuro), integrando proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d. lgs. n. 33/2013, alla luce del quale, ai sensi della normativa vigente e delle indicazioni contenute nelle Linee guida dell’ANAC, l’accesso civico va rifiutato (cfr. in senso conforme anche i precedenti orientamenti di questa Autorità in materia di accesso civico ai curriculum alle altre informazioni personali dei dipendenti: parere n. 162 del 30/3/2017, in www.gpdp.it, doc. web n. 6393422; n. 29 del 7/2/2019, ivi, doc. web n. 9086520; n. 485 del 29/11/2018, ivi, doc. web n. 9065367; n. 231 del 18/4/2018, ivi, doc. web n. 8983308; n. 421 dell’11/7/2018, ivi, doc. web n. 9037343; n. 466 dell’11/10/2018, doc. web n. 9063969).
L’ostensione dei dati oggetto di accesso civico, unita al particolare regime di pubblicità prima richiamato, determina infatti un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà dei soggetti controinteressati, in violazione oltretutto della normativa europea in materia di protezione dei dati personali e del ricordato principio di minimizzazione dei dati personali sancito dall’art. 5, par. 1, lett. c), del Regolamento (UE) 2016/679. Ciò anche tenendo conto delle ragionevoli aspettative di confidenzialità dei soggetti controinteressati in relazione al trattamento dei propri dati personali al momento in cui questi sono stati raccolti dall’amministrazione (tenendo anche conto di dati personali che sono stati raccolti prima dell’entrata in vigore della disciplina in materia di accesso civico generalizzato), nonché della non prevedibilità, al momento della raccolta dei dati, delle conseguenze derivanti dalla eventuale conoscibilità da parte di chiunque dei dati richiesti tramite l’accesso civico (cfr. par. 8.1 delle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico, cit.).
Le informazioni di dettaglio contenute nella documentazione richiesta, inoltre, impediscono di poter accordare anche un eventuale accesso civico parziale ai sensi dell’art. 5-bis, comma 4, del d. lgs. n. 33/2013; oscurando, ad esempio, i dati identificativi, di contatto e di residenza (nome e cognome, telefono, indirizzo) ivi contenuti. Tale accorgimento, infatti, non elimina la possibilità che i soggetti interessati siano re-identificati da soggetti terzi, anche all’interno dell’amministrazione stessa, tramite gli ulteriori dati di contesto contenuti nella documentazione richiesta. A tale riguardo, occorre infatti ricordare che – ai sensi del RGPD – «si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente, con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale» (art. 4, par. 1, n. 1).
3. Sull’esigenza di soddisfare i principi di trasparenza e controllabilità delle decisioni amministrative nel caso in esame
Per completezza, si evidenzia che, sia nell’istanza di accesso civico che nella richiesta di riesame, il soggetto istante ha evidenziato che le ragioni sottostanti l’accesso riguardano interessi strettamente personali, specificando di essere «titolare di un interesse legittimo avente rilevanza pubblica», di cui è fornita descrizione, e richiamando proprio i diversi presupposti per accedere ai dati richiesti tramite la legge n. 241/1990 che disciplina l’accesso ai documenti amministrativi (cfr. richiesta di riesame).
Per questi aspetti, rimane impregiudicata ogni valutazione del Ministero in ordine alla verifica, nel caso in esame, dell’esistenza di un interesse qualificato dell’istante e dei presupposti per l’esercizio del diverso diritto di accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. della citata legge n. 241/1990. Ciò anche alla luce delle indicazioni contenute nelle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico, laddove è precisato che «Resta, in ogni caso, ferma la possibilità che i dati personali per i quali sia stato negato l’accesso generalizzato possano essere resi ostensibili al soggetto che abbia comunque motivato nell’istanza l’esistenza di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”, trasformando di fatto, con riferimento alla conoscenza dei dati personali, l’istanza di accesso generalizzato in un’istanza di accesso ai sensi della l. 241/1990» (par. 6.2.).
In tal modo, previa verifica della sussistenza dei presupposti previsti dalla l. n. 241/1990 (legge peraltro richiamata dalla normativa speciale in materia di accesso agli atti delle procedure di affidamento e di esecuzione dei contratti pubblici contenuta nell’art. 53, comma 1, del d. lgs. n. 50/2016 proprio per assicurarne la trasparenza), troverebbe soddisfazione anche l’esigenza evidenziata dal Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza nella richiesta di parere al Garante di «permettere la valutazione da parte degli interessati delle condizioni di accesso alla procedura di gara e della correttezza delle successive fasi prodromiche all’aggiudicazione» per dare «concretezza ai principi di trasparenza e controllabilità delle decisioni amministrative e, in definitiva, al principio di buon andamento della pubblica amministrazione».
TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE
esprime parere nei termini suesposti in merito alla richiesta del Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza del Ministero della Giustizia, ai sensi dell’art. 5, comma 7, del d. lgs. n. 33/2013.
Fonte: Garante per la Protezione dei Dati